… nei panni del Tenente Frederick Armah Lax – mio padre
Durante gli anni passati io e mia sorella Elizabeth abbiamo raccolto in un documento illustrato varie foto e fogli scritti a mano che nostro padre, Frederick Lax, ci ha lasciato dopo la sua morte qualche anno fa. I testi consistono in una serie di scritti incompleti risalenti agli anni 40 riguardo la sua esperienza come Tenente nei Green Howards durante la seconda guerra mondiale, foto di famiglia – alcune scattate a Cipro, in Nord Africa e soprattutto in Italia – e un testo completo intitolato “La Mia Guerra” scritto da lui verso la fine degli anni 70.
Gli altri tre ufficiali erano il Tenente Bil Ramshaw, il Capitano Bil Glover e il Capitano Sam Allcock, compagni prigionieri di guerra tenuti a Fontanellato.
Papà visitò di nuovo Montalbo e Fontanellato, due dei posti dove fu’ imprigionato, ma non tornò mai a Garulla. Mia moglie Carol e io decidemmo di dover fare questa visita, con la speranza di poter contattare i discendenti della famiglia Guglielmi con l’obiettivo di ringraziarli per quello che avevano fatto per papà e gli altri, e capire meglio il rischio che queste famiglie avevano corso.
Siamo venuti a conoscenza della Monte San Martino Trust attraverso un documentario di Radio 4 e decidemmo di contattare la Trust per chiedere se qualcuno fosse in grado di aiutarci in qualsiasi modo con il nostro piano. La risposta di Letitia Blake fu quasi immediata e oltre qualsiasi aspettativa.
La nostra richiesta di aiuto fu inoltrata a Ian McCarthy e Giuseppe Millozzi e trapelò che il villaggio di Garulla era solo a pochi chilometri da Amandola, dove Giuseppe vive e lavora, e non molti chilomentri lontano da casa di Ian e da Monte San Martino stessa. Dopo sole due settimane dal nostro primo contatto con la Trust, Ian ci fece sapere che aveva già contattato la nipote di una delle famiglie che avevo aiutato mio padre, ma non ci disse altro, così noi concordammo di restare da Giuseppe nel settembre 2015 per effettuare la nostra visita e magari incontrare le famiglie a Garulla.
Durante il nostro soggiorno, Giuseppe e Ian si dimostrarono dei padroni di casa, guide e interpreti eccezionali; il tempo che ci dedicarono per assicurarsi che la nostra visita rimanesse memorabile fu oltre ogni aspettativa che avevamo o che avevamo diritto di aspettarci.
Per capire perché e come papà si trovo a Garulla nel novembre 1943 dobbiamo spiegare cosa successe a lui e ai suoi compagni dopo la loro fuga/rilascio da Fontanellato il 9 settembre 1943. Papà era prigioniero in Italia dalla sua cattura in Nord Africa nel 1942 – lui era un Tenente del quinto battaglione dei Green Howards. Alcuni dei suoi compagni decisero di dirigersi verso il nord, in Svizzera, ma papà voleva andare verso sud con l’intenzione di raggiungere gli Alleati il prima possibile, per tornare nel Regno Unito, e non dover essere chiuso in Svizzera fino alla fine della guerra, in qualunque momento potesse finire.
Lui e Bil Ramshaw furono inizialmente aiutati in prossimità di Fontanellato da “Minardi”, un agricoltore di Diolo, provarono un viaggio in treno verso sud attraverso Bologna, ma la loro guida li abbandonò e furono quasi catturati di nuovo. Un secondo viaggio verso sud insieme a Bil Ramshaw, ora insieme a Bil Glover e Sam Alcock ed un’altra guida più affidabile, ebbe maggiore successo, nonostante i treni non andassero più a sud di Rimini, i 4 fuggitivi decisero di continuare a piedi. Decisero di dirigersi verso gli Appennini e continuare per vie remote, rimanendo lontani da paesi e cittadine, cercando baracche dove potevano, possibilmente vicino a remote fattorie in campagna. La loro lunga camminata iniziò i primi di novembre per arrivare a Garulla intorno la fine del mese.
Tutta la storia di queste fughe e della lunga camminata è raccontata dalle parole di mio padre in “La mia Guerra”, dove descrive a pieno il suo servizio durante la guerra (documento di famiglia non pubblicato).
Così il nostro pellegrinaggio verso Garulla iniziò, con la speranza di incontrare delle persone che potevano ricordare i prigionieri di guerra, di scoprire chi erano le persone nelle foto che avevano e soprattutto con la speranza di riuscire a ringraziare chi offrì rifugio mettendo a rischio se stessi.
Papà non riuscì a ritornare a Garulla, ma anche se in ritardo possiamo dire a chi abbiamo incontrato quanto le persone di Garulla hanno significato per lui, e quanto sono diventate parte della nostra vita dal 1944 ad oggi.
Non sapevamo cosa aspettarci quando Giuseppe e Ian ci hanno portati entrambi, in alto verso le montagne fino a Garulla, una frazione, unita ad Amandola, più in basso nella valle, dal 1960 da una strada.
Salendo costantemente, iniziammo a realizzare che un villaggio remoto – senza una strada fino a valle era probabilmente il miglior posto dove passare l’inverno in un territorio che essenzialmente era nemico.
Guidammo attraverso Garulla inferiore e salimmo ancora sopra le colline fino a Garulla Superiore lungo la stretta strada e un piccolo mucchio di case fino ad arrivare ad una casa moderna proprio nel centro del villaggio. Una signora sull’ottantina ci salutò da un terrazzo di una casa – Clara Guglielmi – nata Sacchetti, era una teenager nel 1943 e viveva a Garulla Inferiore. La sua famiglia fu una delle 10 famiglie che accettarono di nascondere mio padre e i suoi compagni.
Ci hanno presentati anche a Paolo e Adriana Guglielmi, quest’ultima nipote di Clara e pronipote di Gervasio, uno dei tre fratelli e una sorella della famiglia che mio padre aveva documentato, e che fu in prima linea nel dargli protezione.
Inoltre, abbiamo incontrato Adolfo Guglielmi, figlio di Gervasio e Maria Guglielmi, di 94 anni, cognato di Clara. Lui era nell’esercito nell’inverno del 1943/44, ed il suo reggimento stava combattendo dalla parte degli Alleati nel momento dell’armistizio. Lui era nativo del villaggio ed era ritornato dopo la guerra. Inoltre, ci fu presentato Benito Bruni, il figlio di un fattore che nel 1943 insieme ai sui sette fratelli, viveva a Garulla.
Grazie all’assistenza di Ian, riuscimmo presto a parlare con Clara, che ricordò chiaramente il tempo di quando i soldati erano a Garulla. Lei viveva con sua madre e la sua famiglia a Garrulla Inferiore, suo padre era morto quando lei aveva 5 anni. La sua famiglia aiutò a dare alloggio ai soldati, insieme ad altre 9 famiglie di Garulla Superiore. Ci fu subito chiaro che il ricordo di mio padre di Garulla e del tempo speso li, delle famiglie che offrirono rifugio fu confermato dalle persone del villaggio, e il loro tempo speso lì non fu dimenticato. Mentre parlavamo con Clara e Adolfo, e poi facendo un giro nel villaggio mi ritrovai a pensare sempre di più al passato.
Papà arrivò a fine novembre, dopo aver provato per più di due mesi a trovare la strada verso sud, per il fronte e per raggiungere la salvezza, a quei tempi in grave pericolo di cattura o peggio. Durante le 3 settimane trascorse camminando verso sud nelle montagne in compagnia dei 3 compagni bisognosi di rifugio ovunque gli fosse offerto, l’inverno stava arrivando e gli uomini erano arrivati al limite delle loro forze e sapevano di aver bisogno di qualche posto dove “rintanarsi”.
Arrivarono a Garulla disperati per un rifugio – andarono in un piccolo bar, ordinarono e pagarono per due litri di vino e si sedettero. Gli uomini al bar iniziarono a parlare tra di loro, e uno di loro si avvicinò e gli chiese se erano inglesi. Altro vino e cibo fu allora portato loro e non gli venne chiesto di pagare – un buon segno. Fu dato loro rifugio per la notte, e in seguito ad una riunione di villaggio avvenuta il giorno seguente, 10 famiglie si accordarono per dare loro rifugio a lungo termine. Finirono per rimanere a Garulla fino alla primavera seguente.
Fu Adolfo che ci portò alla casa di proprietà di Anna Guglielmi, un’anziana signora che ricordò gli anni della guerra, che ci disse che casa sua era il bar del paese durante la guerra e ci invitò ad entrare per vedere la stanza dove gli uomini furono accolti per la prima volta a Garulla. Ora l’entrata nell’area del bar è una finestra, ma è possibile immaginare la paura e l’incertezza che mio padre deve aver avuto quando arrivò al suo interno, senza conoscere cosa lo aspettava.
Immediatamente nella porta accanto verso l’interno, Adolfo ci mostrò il palazzo dove gli uomini dormivano durante i primi giorni nel villaggio. Il piano inferiore del palazzo era la scuola in quei tempi. Clara ci portò a casa dei Gugliemi dove più di 20 persone vivevano insieme.
Era opposta alla chiesa dove papà celebrò il Natale, sebbene non la frequentasse con frequenza non essendo cattolico.
Da Questo punto si poteva vedere la valle in basso, e mi ritrovai a pensare cosa mio padre avrebbe guardato da quello stesso punto, grato dell’ospitalità e della sicurezza data dalle famiglie della frazione, ma pensando alla possibilità di Tedeschi o Fascisti che sarebbero potuti venire alla loro ricerca in qualsiasi momento cercando prigionieri scappati o italiani che non avevano risposto alla chiamata alle armi.
Clara ci raccontò di un giorno a Garulla Inferiore quando arrivarono i Tedeschi – fecero mettere in linea per la strada del villaggio i suoi abitanti, esigendo di sapere se ci fossero alcuni prigionieri di guerra. Gli abitanti risposero di no, e alla fine i soldati Tedeschi se ne andarono, dopo aver preso a tutti gli oggetti di valore.
Clara e la sua famiglia confermarono molti degli eventi che papà scrisse nelle sue memorie, due delle storie qui di seguito:
La prima persona del villaggio a parlare a mio padre e ai suoi compagni fu Auro Tombesi, e fu lui che diede loro rifugio la prima notte a Garulla. Lui diventò un caro amico ma in seguito ci fu una triste tragedia. Un giorno andando in slitta, papà scrisse che Auro cadde da questa ed urtò contro un albero, in seguito morì per le ferite. Papà era molto preoccupato che le persone del villaggio potessero dare la colpa a loro per la sua morte, soprattutto perché erano gli unici a raccontare cosa era successo. Tuttavia non successe e il legame tra i prigionieri di guerra e gli abitanti del villaggio diventò più forte.
Paolo ci portò verso una strada disfatta dietro casa sua e ci mostrò il campo dove successe l’incidente. L’evento faceva parte della storia del villaggio e Adolfo ci voleva far sapere che era stato lui a costruire la slitta, prima di andare via per unirsi all’esercito. Sembrava che gli abitanti del villaggio davvero non avevano dato la colpa agli inglesi per quello che era successo.
Papà inoltre scrisse di un santuario più in alto dove i compagni si volevano nascondere se ci fossero state voci di Tedeschi o altri che venivano verso il villaggio. Paolo disse che lui sapeva esattamente dove era questo posto e che ci avrebbe portato con la sua 4×4. È a qualche chilometro da Garulla, ora vi si accede attraverso una strada ripida e tortuosa. Il rifugio di guerra ora è una rovina, ma Paolo e i suoi amici hanno costruito una piccola tenuta di caccia li, da dove mirano i piccioni durante la stagione di caccia autunnale.
Prima ho menzionato Benito, il figlio del fattore che era uno fra sette fratelli nel 1943. Si trasferì nel Regno Unito negli anni 60 dove incontrò e sposò Christine, e dove per 20 anni gestì un ristorante a Newcastle – La Toscana. Fu in qualche modo bizzarro l’essere arrivati in una remota frazione delle Marche per incontrare una signora inglese che conosceva la strada di Whitley Bay dove avevamo vissuto, ed il quale marito aveva incontrato mio padre più di 60 anni fa!
Dunque, arrivati alla fine delle mie riflessioni sul nostro pellegrinaggio a Garulla devo rispondere ad una domanda che Clara mi ha rivolto – “Perché papà non tornò a Garulla?” Lei ci raccontò che quando lui arrivò lì, di sicuro sentiva la mancanza della sua famiglia, e la mancanza delle notizie su di loro, inoltre quando lasciò Garulla quasi dopo 7 mesi, alla sua partenza la tristezza era sentita da entrambe le parti. Lei ci disse che avevano sentito che mio padre e gli altri avevano raggiunto casa sani e salvi, ma non sono sicuro con quali mezzi.
Come rispondere – allora dico a Clara che le persone di Garulla, e tutto quello che loro hanno fatto per papà e i loro amici, farà sempre parte della mia vita, perché papà non smise mai di parlare del suo periodo lì, e dell’incredibile rischio che i Guglielmi e gli altri corsero nel nasconderli.
Sul perché non ritornò a Garulla: lui tornò nel nord Italia durante i primi anni 60 quando visitò Montalbo e Fontanellato, i due luoghi dei campi di prigionia di guerra dove fu imprigionato. Tuttavia, in quel momento aveva solo due settimane di ferie dal suo lavoro e la valle del Tenna non era vicina da raggiungere. Dobbiamo ricordare che questo successe prima della costruzione della rete autostradale fra Francia e Italia, e Garulla era appena stata collegata da una strada ad Amandola. Per queste ragioni, doveva sembrare un viaggio impossibile a quei tempi, nonostante tutta la voglia che aveva di tornare.
In seguito, quando finì di lavorare non era più in grado di considerare lunghi viaggi in quanto aveva problemi ricorrenti alla schiena.
Comunque, spero di aver fatto assoluta chiarezza dicendo che non c’è mai stato alcun dubbio sulla gentilezza e assistenza offerta dalle famiglie di Garulla, e del posto che hanno avuto nel suo cuore.
In conclusione, niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza la notevole assistenza dei soci della Monte San Martino Trust, in particolare Letitia Blake e John Simkins, e in Italia di Giuseppe Millozzi e Ian McCarthy, che entrambi hanno ricercato le famiglie di Garulla e ci hanno accompagnato in Italia durante ogni momento del nostro viaggio. Siamo indebitati con ognuno di loro. David and Carole Lax, dicembre 2015