Mio padre e tre italiani coraggiosi: Leslie Young
Nicholas Young, presidente di Monte San Martino Trust, racconta come, nel 2010, 66 anni dopo l’evento, ha scoperto la vera storia dell’ultima corsa di suo padre verso la libertà.
Conosco la storia di come mio padre, il maggiore Leslie Young, sia fuggito da Fontanellato da vent’anni o poco più: come molti “originali”, aveva raccontato poco delle avventure della sua vita, quindi è toccato a me cercare di ricostruire la storia dopo la sua morte. Mi ha lasciato un piccolo quaderno di appunti, con poche sbiadite annotazioni a matita riguardo la vita nel campo e la fuga, e sono ruscito a decifrare la sua terribile grafia abbastanza da tramandare ai miei figli la sua coraggiosa storia e quella dei contadini che lo hanno aiutato. Inevitabilmente però nella storia ci sono delle parti mancanti, eventi che non comprendo o che non riesco a spiegare – e quindi mi siedo e desidero di averlo ancora accanto, o di avergli fatto delle domande quando era ancora vivo.
Uno di questi misteri riguardava la parte finale della sua fuga. Stava viaggiando con un vivace neozelandese di nome Charlie Gatenby e insieme attraversarono le nevi degli Appennini nel gennaio del ‘44 diretti verso il fronte degli Alleati ad Anzio. Dopo aver atteso il Natale in un villaggio chiamato Corvaro, erano ansiosi di completare l’ultima parte del viaggio, ma ovviamente erano in dubbio su quale strada prendere e su come aggirare le pattuglie tedesche e i campi minati.
Il diario di mio padre dice solo che incontrarono due italiani, fratello e sorella, e che insieme decisero di provare a passare. In seguito ho scoperto, dalla figlia di Charlie, che la sorella si chiamava Silvia Elfer, e che ci fu un terzo membro italiano del gruppo, il conte Carlo Tervini, che diceva di essere un agente britannico. Se la videro davvero brutta: nella neve e sotto una pioggia gelida, una mitragliatrice tedesca li sorprese mentre attraversavano a carponi un campo minato tedesco, il conte fu colpito a morte. Proseguirono a carponi e mentre raggiungevano la fine di un campo minato americano furono attaccati di nuovo: Silvia fu colpita alla gola. In qualche modo, mio padre e Charlie, che pure fu ferito, riuscirono a farsi sentire. Il fuoco cessò e Silvia e Charlie vennero trasportati di corsa a un ospedale americano, dove tragicamente Silvia morì.
Sessantasei anni dopo, una domenica pomeriggio ero seduto alla mia scrivania e senza pensarci troppo ho cercato in Google il nome di Silvia Elfer. Dopo un paio di secondi è comparsa una lettera, scritta 10 anni prima a un giornale italiano da un americano di nome Don che, dalla Virginia, chiedeva aiuto per ricostruire cosa fosse accaduto ai suoi coraggiosi cugini Silvia e Eugenio Elfer, morti nel ’44 mentre cercavano di aiutare i soldati alleati a fuggire. Ho subito inviato un’e-mail ma è tornata indietro. Allora ho scritto all’indirizzo, chiedendo se la mia lettera potesse essere consegnata e quattro giorni dopo Don stesso ha risposto. Sono seguite foto e storie di famiglia, racconti che mi hanno mostrato chiaramente come questi due coraggiosi giovani italiani e il conte loro amico, hanno rischiato la propria vita sul fronte per un soldato inglese che avevano incontrato per caso pochi giorni prima.
La vedova di Charlie Gatenby è ancora viva, quindi ho spedito a lei e a sua figlia le foto. E ora eccoci, tutti e tre, in tre diversi continenti a mettere insieme i pezzi di quello che accadde veramente in quella tremenda notte di 66 anni fa in Italia.
Silvia e Eugenio Elfer sono sepolti nella sezione ebraica del cimitero del Verano a Roma, i loro corpi furono recuperati dopo la guerra dalla madre addolorata. La prossima tappa del mio viaggio personale per mio padre sarà visitarli: dopotutto devo a loro anche la mia vita.
Traduzione in Italiano da Silvia Elzi